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Nel 1693 la Sicilia orientale fu distrutta da un forte terremoto: ma la causa non fu l’Etna.

L’11 gennaio non è una data tanto felice da ricordare per gli abitanti della Sicilia orientale e soprattutto dei paesi etnei abituati ai frequenti scuotimenti periodici dell’Etna. “« All'unnici di Jinnaru a vintin'ura a Jaci senza sonu s'abballava cui sutta li petri e cui sutta li mura e cui a misericordia chiamava » recita un vecchio proverbio siciliano per indicare i gravi danni arrecati alle abitazioni dalla potenza del terremoto che, con una magnitudo di 7.4, costituisce ad oggi l’evento di più elevata energia della storia sismica italiana. Ancora in vecchi scritti si legge « All’unnici di Jinnaru a vintu’ura, fu pi tuttu lu munnu ‘na ruìna: piccini e ranni sutta li timpuna diciènu - Aiutu! - e nuddu ci ni rava. Si n’era pi Maria, nostra Signura, tutti forimu muorti all’ura r’ora; all’ura r’ora ciancieriemmu forti se Maria nun facìa li nuostri parti..». Il terremoto dell’11 gennaio 1693 ha avuto l’epicentro in Val di Noto e si è verificato intorno alle ore 21. Concomitante ad esso si verificò un maremoto catastrofico che ha interessato pressoché tutta la costa orientale della Sicilia fino all’arcipelago maltese. Le vittime dei terremoti del 9 e dell’11 gennaio furono circa 60.000 (fonte G. Patanè, S. La Delfa, J.C.Tanguy “L’Etna ed il Mondo dei Vulcani”). Negli archivi parrocchiali di Aci S. Antonio si evincono 133 vittime il che è una cifra enorme se si considera che a quei tempi il paese era una piccola borgata. Ma non solo l’11 gennaio del 1693 il terremoto fece sentire i suoi nefasti effetti; anche l’11 gennaio del 1848, si verificarono due forti scosse di terremoto che distrussero buona parte di Catania e Acireale. Quello dell'11 gennaio 1693 rappresenta, assieme al terremoto del 1908, che il 28 dicembre distrusse la città di Messina (magnitudo 7.2), l'evento catastrofico di maggiori dimensioni che abbia colpito il territorio italiano in tempi storici (il terremoto del 6 aprile 2009 che ha distrutto buona parte della città di L’Aquila è stato di gran lunga meno energetico con una magnitudo di “appena” 5.9 della scala Richter). Infatti nel 1693 si è avuta la distruzione totale di oltre 45 centri abitati. Il sisma ha interessato una superficie di circa 5600 Km2 e causato un numero complessivo di circa 60.000 morti. La sequenza sismica relativa a questo devastante terremoto è iniziata il giorno 9 gennaio 1693 e si è protratta per circa 2 anni nel corso dei quali si sono avute circa 1500 repliche di minore energia molte delle quali hanno completato l’opera demolitoria della scossa principale. L'evento principale del XI grado della scala Mercalli (MCS) si è verificato alle ore 9 della sera dell'11 gennaio, dopo che alcune scosse di minore intensità di circa l’VIII grado della scala Mercalli si erano già fatte sentire la sera del giorno 9 e la mattina dell’11 gennaio giorno della scossa principale che avvenne alle ore 21. Il numero più elevato di vittime è stato registrato nella città di Catania dove sono morti circa i 2/3 della popolazione. Le caratteristiche dell'evento principale consentono di considerarlo, per molti aspetti, simile al terremoto del 4 febbraio 1169 che anch’esso ha distrutto i centri della Sicilia orientale e tale funesta data la si può leggere nella lapide che sovrasta l’ingresso del Castello di Acicastello. Secondo i geologi sembrerebbe che la struttura sismogenetica sede del fuoco sismico sia posta in mare, non lontano dalla costa tra Catania e Siracusa. Un’indiretta conferma di questa ipotesi è fornita dal maremoto associato all'evento sismico che, anche in questo caso come nel 1169, ha colpito la costa ionica della Sicilia orientale. La profondità ipocentrale stimata per l'evento principale fu di circa 20 Km quindi relativamente superficiale e pertanto fortemente distruttivo (oltre la magnitudo occorre anche considerare la profondità ipocentrale se lo stesso terremoto anziché 20 km fosse stato ad una profondità ipocentrale di 200 km non avrebbe provocato alcun danno). Negli antichi scritti si legge una frase che rende bene l’idea della grande distruzione: gli edifici furono “adeguati al suolo”. Fonti storiche indicano che il terremoto del 1693 fu seguito anche da un maremoto iniziato con un ritiro del mare lungo tutta la costa della Sicilia orientale per diverse decine di metri al quale fecero seguito altissime onde che si abbatterono prevalentemente sul litorale di Augusta anche se disastrosi effetti si sono avuti nel litorale catanese, mentre sembrerebbe che nel litorale siracusano il maremoto abbia avuto un impatto meno devastante probabilmente per la profondità dei fondali marini dovuta alla scarpata ibleo-maltese. Infatti il run-up ossia l’altezza dell’onda di tsunami è in un certo senso inversamente proporzionale alla profondità dei fondali. Il terremoto dell’11 gennaio 1848, anche se di minore intensità rispetto a quello del 1693, provocò gravi danni agli edifici di molti centri della Sicilia orientale in particolare Catania e Acireale. Eppure, è passato in sordina a causa dei ben noti eventi storici di quell’epoca che, segnando importanti tappe della storia d’Italia, ben presto lo fecero dimenticare… ubi major minor cessat. Qualcuno parla del Big- One siciliano per analogia con un grande terremoto che si aspetta a San Francisco. Ovviamente in una zona sismica è logico aspettarsi un terremoto; prima o poi arriverà perché la Sicilia orientale è una zona altamente sismica in quanto interessate da un sistema di faglie altamente sismo genetiche che sono state generate dalla collisione e conseguente subduzione della placca africana sotto quella europea. L’Etna quindi non centra nulla anzi potrebbe essere la conseguenza della tettonica regionale e certamente non la causa. Anche nella zona dell'Aquila era atteso un forte terremoto, visto che c'era un gap sismico che durava da 300 anni. Tutto sommato per quello che si aspettava per la verità non è stato molto energetico; poteva esserlo molto di più e ciò sicuramente è dovuto alla liberazione di energia nel corso della crisi sismica che ha preceduto la scossa più energetica… e poi come si fa a stabilire se il terremoto accadrà tra 10, 100 o 1000 anni? Quello che si può dire è che la scienza non ha ancora i mezzi per prevedere con certezza il verificarsi di un evento sismico e che in Sicilia non si è fatto nulla e si continua a far nulla per la prevenzione sismica. Per la verità è bene dire che il radon è un buon precursore sismico e Giampaolo Giuliani sulla base di una notevole anomalia del radon registrata alcune decine di ore precedenti l’evento sismico aveva previsto il terremoto di L’Aquila ma anziché un elogio si è beccato una denuncia penale per procurato allarme… che possiamo dire… questa è l’Italia con i suoi pregi ed i suoi difetti.

Giovanni Tringali

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Gli stupendi colori dei crateri dell’Etna

Capita spesso dopo una faticosa ascesa alle parti sommitali dell’Etna essere ripagato per lo sforzo della salita da stupende colorazioni delle rocce prospicienti aree fumarolizzate. Si tratta si condensati di sali contenuti nelle emissioni vulcaniche che conferiscono al substrato variopinti colori che vanno dal bianco al rosso con una netta prevalenza del colore giallo dello zolfo che talora si trova in vasti accumuli allo stato quasi puro. Spesso vengono indicati genericamente come sublimati ma tale terminologia non è corretta dato che la sublimazione è il passaggio dallo stato solido allo stato gassoso mentre qui invece accade il contrario. In questa foto si possono ammirare la tenardite che è di colore bianco (solfato di sodio Na2SO4), lo zolfo che è giallo ed il rosso del realgar (solfuro di arsenico). Il nome tenardite o più correttamente thenardite, deriva dal chimico francese Louis Jacques Thénard ed è molto frequente nei vulcani attivi o nelle lave recenti soggetti a prolungata fase di fumarolizzazione. Il colore rosso del realgar, il cui nome deriva dall’arabo "rahj-al-ghar", che significa polvere di miniera, è dato dal bisolfuro di arsenico (As2S2), che si trova in natura in zone vulcaniche, come nei dintorni del Vesuvio e dell'Etna oltreché in varie miniere di Sassonia, Boemia e Transilvania. Quando salendo ai crateri sommitali li vediamo godiamoci questo spettacolo dato che esso non dura molto; infatti, soprattutto in estate, le intense piogge li possono dilavare per cui non sempre si osservano nei vividi colori che vieppiù s’intensificano in assenza di piogge. Così l’escursionista resta estasiato sia per gli splendidi colori, sia per il fatto che essi mai configgono tra loro. Talora vediamo soggetti il cui colore della cravatta non si adatta alla camicia o al vestito; ebbene in natura non accade mai che i colori non si adattino tra loro: rocce, animali e vegetali qualsiasi colore portano, anche sgargiante, lo presentano sempre intonato al contesto.

Giovanni Tringali

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Il parco dell'Etna

Il Parco dell'Etna è stato istituito il 17 marzo 1987 al fine di tutelare lo straordinario patrimonio naturale del vulcano e concorrere alla corretta gestione dell'ambiente e allo sviluppo sostenibile del territorio per le presenti e future generazioni. L'Etna la “montagna”, il “Mons -Gebel” degli Arabi , considerato dagli antichi come una divinità è il Vulcano più alto d'Europa e uno dei più grandi vulcani attivi del nostro pianeta. E alto 3.330 metri circa, il suo diametro alla base supera i 40 Km e la sua circonferenza i 250 Km. L'Etna è una struttura complessa (vulcano multiplo o poligenico) originatasi in seguito alla sovrapposizione di prodotti eruttivi emessi nel corso di millenni (si è formato circa 500.000 anni fa) attraverso diversi sistemi di risalita magmatica (assi eruttivi) che hanno creato differenziate coperture laviche e piroclastiche. Oggi l'Etna presenta quattro bocche sommitali eruttive (Bocca Nuova, Centrale, Sud Est, Nord Est) e numerosi crateri laterali. Nelle zone interessate da colate laviche recenti vi è il deserto vulcanico. Nessuna forma di vita né vegetale, né animale. Mentre sono fertilissime e ricche di vita le aree interessate da antiche colate. L'interazione tra le forme primordiali e le forme di vita vegetale che si sono succedute nello spazio e nel tempo ha determinato l'evoluzione di una straordinaria varietà di ambienti e paesaggi naturali che sono il risultato di lunghi e complessi fenomeni (fisico-chimici,biologici e più recentemente umani). Le prime forme di vita che si insediano sono costituite da Muschi e Licheni , tra i quali assume un ruolo fondamentale lo Stereocaulon vesuvianum. Subentrano poi le prime Fanerogame, le pioniere per eccellenza, tra cui spiccano diverse specie di Sedum, di Rumex e di Genista aetnensis, seguite poi da altre numerose specie vegetali. Oltre 1.400 specie vegetali costituiscono la flora dell'Etna tra di esse le piante superiori (Faggi, Lecci, Betulle, Pini, Querce, Castagni) sono quelle maggiormente rappresentate. In mezzo alle colate laviche non è raro trovare anche fertilissime “dagale” coltivate a frutteti (mele, ciliege, pere, mandorle, nocciole) o a vigneto e uliveto. E sui terreni lavici, più in basso, si sono impiantati benissimo anche il pistacchio e il ficodindia che costituiscono ormai tipici paesaggi dell'Etna, e oggi riconosciuti con specifiche Denominazioni d'Origine Protetta. Il multiforme paesaggio cambia in continuazione alle diverse quote e ai diversi ambienti corrispondono differenti presenze di fauna selvatica (istrici, volpi, gatti selvatici, ricci, ghiri, vipere) e numerose specie di uccelli tra cui si segnalano l'aquila reale, il falco pellegrino, la poiana, la coturnice sicula, il barbagianni e l'allocco). L'area complessiva sottoposta ai vari livelli di tutela è pari a circa 59.000 ettari e ricade interamente nella provincia di Catania interessando il territorio di 20 Comuni. Nell'area di riserva integrale (zona A) la natura è conservata nella sua integrità; nell'area di riserva generale (zona B) si coniuga la tutela con lo sviluppo delle attività economiche tradizionali; nell'area di protezione a sviluppo controllato (pre-parco) costituita dalle zone C e D , che si presenta notevolmente antropizzata, si persegue uno sviluppo economico compatibile con il rispetto del paesaggio e dell'ambiente. Non rientrano all'interno del perimetro del Parco dell'Etna i centri abitati . I comuni, i cui territori ricadono all'interno del Parco, sono i seguenti: Adrano, Belpasso, Biancavilla, Bronte, Castiglione di Sicilia, Giarre, Linguaglossa, Maletto, Mascali, Milo, Nicolosi, Pedara, Piedimonte Etneo, Ragalna, Randazzo, Sant'Alfio, S. Maria di Licodia, Trecastagni, Viagrande, Zafferana Etnea.

I miti e leggende sul vulcano Etna

L'Etna, con il suo fascino misterioso, fin dai tempi più antichi ha ispirato l'uomo nella creazione di leggende e di racconti mitologici legati ad essa. Non sono pochi i poeti greci e romani che citarono il vulcano: Omero, Virgilio, Orazio, Ovidio e altri ancora hanno descritto l'irreale atmosfera e panorama delle eruzioni etnee. Grazie ad essi e alla tradizione popolare sono giunte ai giorni nostri numerose storie fantastiche. E' evidente come molti di questi racconti nacquero con lo scopo di fornire una spiegazione a quei fenomeni vulcanici che all'epoca non venivano considerati eventi naturali, ma manifestazioni divine. Ecco alcuni tra i più famosi miti: La leggenda di Vulcano Il dio Vulcano (chiamato anche Efesto) un giorno litigò con il sommo Giove; ovviamente il primo ebbe la peggio e fu scaraventato giù dall'Olimpo degli dei. La tremenda caduta tramortì il povero vulcano che quando si svegliò si accorse di essere su un'isola incantata che non aveva niente da invidiare all'Olimpo. Da allora Efesto prese il possesso dell'Etna dove si dice svolga l'attività di fabbro degli dei. Ecco spiegati i maestosi e spettacolari effluvi di lava e di gas. Il mito di Tifeo Tifeo era un gigante di grandissima statura. Un giorno questo decise di insidiare l'Olimpo. Allora Giove, adirato per l'irrispettoso l'atto, dopo una lunga e turbolenta lotta, decise di punire il gigante facendoli sorreggere la Sicilia con una particolare collocazione topografica: i piedi sotto il Lilibeo (Trapani), il braccio destro sotto il Peloro (Messina) e quello sinistro sotto Pachino ( Siracusa) e la testa proprio in prossimità dell'Etna. Ogni tanto l'irrequietudine del gigante darebbe vita ai terremoti e alle eruzioni dalla sua bocca. Il mito di Ulisse e Polifemo Questa famosa storia è narrata da Omero nell'Odissea ed è conosciuta in tutto il mondo. Ulisse, in ritorno da Troia, ebbe anche la sfortuna di imbattersi in Polifemo, uno dei feroci ciclopi con un occhio solo (mostruosi e giganteschi pastori) che dominavano la costa ionica siciliana. L'eroe greco, famoso per la sua arguzia, in un momento propizio, accecò il gigante con un palo di legno aguzzo. Polifemo iracondo voleva vendicarsi, ma essendo accecato non si accorse che Ulisse e compagni si erano aggrappati alla pancia dei pecoroni ed erano così usciti dalla grotta in cui erano tenuti prigionieri facendosi così burla del gigante. Il ciclope in un ultimo sussulto d'ira lanciò dei grossi massi contro Ulisse senza colpirlo dando origine ai faraglioni che oggi caratterizzano Acitrezza. La leggenda di Aci e Galatea Sempre sull'origine dei faraglioni di Acitrezza ed Acicastello si narra un'altra storia. Aci era un pastorello che viveva alle pendici dell'Etna. Questo era amato da Galatea, la quale però era a sua volta corteggiato da un ciclope. Il gigante non vedendo corrisposto il suo amore decise di uccidere Aci schiacciandolo con un gigantesco masso (uno dei faraglioni) credendo che finalmente Galatea si sarebbe concessa a lui. Ma non fu così. Galatea continuò ad amare il suo pastorello. Gli dei commossi dalle lacrime di Galatea decisero di trasformare il corpo di Aci in sorgenti d'acqua dolce che sgorgavano sui pendii del vulcano. Anche la gente fu commossa dall'amore contrastato di Aci e Galatea e in memoria del pastore si decise di usare il prefisso Aci per numerosi paesi della costa ionica e non solo. Ad esempio abbiamo Acitrezza, città dei tre faraglioni o Acicastello, nome attribuito alla presenza del castello sul mare, Acireale e altri ancora.

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